Castel Restor

Autunno, stagione ideale per visitare i castelli del Trentino. Perché non iniziare da Castel Restor, nel comune di Comano Terme, alle spalle della frazione di Duvredo. Di Michele Dalba e Lia Camerlengo

[ Chiara Tomasoni ©]

[…] le Giudicarie si videro circondate dai più potenti dinasti del Trentino, i signori di Lodrone che ne guardavano l’entrata al mezzogiorno, quelli d’Arco e di Campo che sbarravano l’uscita all’oriente. Benché questi signori non abbiano mai potuto aver giurisdizione diretta sulle Valli Giudicarie, esse ebbero a soffrire delle costoro prepotenze, allorquando vi tenevano vicaría in nome del Vescovo, che spesso loro affidava tale incarico; o quando, impegnati in guerricciole di rivalità o implicati in quelle che si facevano gli Stati vicini, portavano lo sgomento e la rovina […] C. Gambillo, Il Trentino. Appunti e impressioni di viaggio…, 1880

Castel Restor sorge alle spalle della frazione di Duvredo, su un rilievo che porta l’allegro nome di Dosso della Vedova. La prima notizia del complesso risale al 1265, quando il vescovo Egnone diede in feudo l’altura a Federico d’Arco, insieme a una licentia edificandi castrum. Furono quindi erette una cinta muraria, attorno al versante, e una domus murata cum canipa, sulla sommità dell’altura. La concessione vescovile obbligava i d’Arco, in caso di pericolo, a dare ospitalità agli uomini del Bleggio e ai loro beni mobili.

Salendo verso il dosso, si possono ancora vedere i piccoli abitati, sparsi sul versante, che godevano di questa protezione. Paesi antichi: Vergonzo, Tignerone, Cares, Gallio e Bivedo sono ricordati nei documenti a partire dal XII secolo. Questa clausola di ospitalità fu una fortuna per le persone che vivevano ‘all’ombra’ della fortificazione, infatti il periodo compreso tra il XIV e il XV secolo fu piuttosto burrascoso. Tuttavia, in qualche occasione, fu proprio il castello a calamitare quelle che Gambillo chiama «guerricciole di rivalità».

Castel Restor fu, insieme a Castel Spine nel Lomaso, una delle basi per l’espansione dei signori di Arco nelle Giudicarie, costretti a misurarsi con le potenze dell’Italia settentrionale – che gravitavano attorno al Trentino meridionale – e con le famiglie locali. In quest’area, infatti, coincidevano gli interessi di nuclei radicati (i da Stenico e i da Campo) ed emergenti (i Lodron).

Nel Trecento la situazione, già conflittuale, si aggravò quando i d’Arco cercarono di rivendicare l’alta giurisdizione che avevano esercitato nelle Giudicarie nel corso del secolo precedente, in modo discontinuo e abusivo, approfittando dei momenti di debolezza vescovile. In questo contesto precario non era chiaro chi detenesse il potere giudiziario tanto che, quando Enrico da Metz cercò di riordinare l’amministrazione interna del principato e nel 1315 «fece interrogare gli abitanti delle valli del Sarca, di Ledro e del Chiese allo scopo di accertare da quale tribunale ritenessero di dipendere», alcuni di loro risposero «‘non lo sappiamo’».

Insomma, da questa situazione fumosa i d’Arco cercarono di guadagnare, con alterne vicissitudini, il maggior prestigio possibile, riuscendo a ottenere dal Capitolo di Trento, nel 1348, l’investitura di capitani delle Giudicarie. Questa ‘promozione’ fu percepita come una minaccia dalle altre famiglie della zona e, su sollecitazione di Graziadeo da Campo, intervenne Ludovico di Brandeburgo che, cogliendo l’opportunità di «irrompere nelle Giudicarie», ordinò la distruzione dei castelli di Spine e Restor. Al termine dei combattimenti i d’Arco cedettero i castelli al margravio. I danni però non furono tali da precludere la frequentazione del presidio negli anni seguenti, infatti, già nel 1357 il castello risultava retto da un capitano arcense e alla fine del secolo fu rinforzato da Vinciguerra d’Arco († 1444) per fronteggiare le scorrerie dei da Campo e di Pietro Lodron, che assediò il castello alla fine del XIV secolo.

A queste vicende seguirono fasi di ricostruzione e rinnovamento e dalla seconda metà del Quattrocento il presidio risultava ormai, in modo definitivo, tra i possedimenti dei d’Aco, che col tempo trasformarono il complesso in un centro di signoria fondiaria.

I lavori di scavo (iniziati nel 1999) e di restauro, condotti successivamente, hanno portato a identificare le diverse fasi costruttive della struttura. Il nucleo più antico era costituito dalla già citata cinta muraria e da un ridotto poligonale entro cui sono stati trovati i resti della domus, ricordata nel documento del 1265. Questa struttura era caratterizzata da tre ambienti, posti lungo la parete interna orientale del ridotto, affacciati davanti a una corte, occupata ora dal mastio. la torre, alta 17 metri, fu eretta successivamente, forse all’inizio del XV secolo, ed è caratterizzata da vani interni sottodimensionati (2 x 2 m), che hanno portato a ipotizzare una funzione meramente simbolica per la struttura.

I d’Arco, attraverso la mole della torre, visibile a lunga distanza, potrebbero aver voluto rendere evidente il potere esercitato sul territorio circostante. Negli stessi anni fu potenziato il circuito murario del ridotto, edificando una scarpa imponente sui lati est e sud (il lato nord è lacunoso di dati). Alla metà del Quattrocento il complesso fu trasformato, attorno al dosso venne innalzato un alto muro perimetrale – che in alcune sezioni ricalca la cinta precedente – e furono aggiunti numerosi ambienti, articolati su piani diversi.

Tra le nuove strutture furono realizzati una cisterna, dei vani domestici e spazi dove lavorare e conservare i prodotti agricoli. Si ricordano una cantina, dei magazzini, un vano dotato di torchio e uno di macina per la pilatura di grano, orzo e miglio. La fortificazione quindi, diversamente da altri castelli del trentino, non migliorò le sue caratteristiche residenziali per essere trasformata in una sede nobiliare, ma si specializzò come centro direzionale, di gestione economica, finalizzato alla lavorazione e allo stoccaggio delle derrate raccolte nelle terre circostanti.

Nel corso di questi secoli non cambiarono i proprietari – restò ai d’Arco – ma mutò lo stato di conservazione delle strutture, soggette a un lento, ma inarrestabile, declino. Nel 1790 il presidio fu privato delle coperture e a quel punto si velocizzarono le fasi di ruderizzazione, che coincisero pure con la messa in coltura dei versanti del dosso. Tuttavia, grazie anche agli ultimi restauri, la mole del castello resta imponente e quello che fu il marchio del potere arcense sul Bleggio, seppur ‘sbiadito’ rispetto al passato, resiste ancora saldo e fortemente percepibile agli occhi del visitatore. L’area del castello si raggiunge dal parcheggio dedicato, dopo una breve passeggiata.

Il testo è tratto da: M. Dalba 2014Dal Castello di Stenico ai castelli delle Giudicarie. Itinerari d’arte e di storia, Trento, Castello del Buonconsiglio. Monumenti e collezioni provinciali, 175 pp.

Michele Dalba, Lia Camerlengo - rispettivamente autore del volume e responsabile del progetto

22/09/2015