Il mondo negli anni Sessanta e Settanta tra distensione e aree di tensione

Una nuova tappa lunedì 23 febbraio alle 16.30 presso il Centro Rosmini di Trento nell'ambito di "Maturità 2015. Parliamo di storia"

Nell'ambito di Maturita-2015-parliamo-di-storia, il percorso annuale promosso dalla Fondazione Trentina Alcide De Gasperi e dall’Associazione culturale “Antonio Rosmini” lunedì 23 febbraio Giovanni Bernardini porterà il suo contributo su "Il mondo negli anni Sessanta e Settanta tra distensione e aree di tensione".

Secondo il giudizio pressoché unanime degli storici, alcuni dei tratti fondamentali del mondo odierno hanno iniziato a emergere a partire dagli anni ’70 del secolo scorso.

Questo in ragione della maturazione di una serie di processi epocali di natura politica, economica e internazionale. Innanzitutto già dalla fine del decennio precedente si assisteva a un progressivo ridimensionamento e a una regolamentazione del confronto tra Stati Uniti e Unione Sovietica, apparentemente decisi a ridurre i costi e i rischi della loro rivalità ormai globale.

Il processo in Europa coinvolse anche molti degli alleati delle due Superpotenze, che cercarono di condurre politiche autonome ma anch’esse orientate al superamento progressivo della divisione determinatasi sul Vecchio Continente dalla fine della Seconda guerra mondiale. Per quanto negli anni successivi non sarebbero mancate occasioni di un nuovo inasprimento dei rapporti est-ovest, il capitale di conoscenza reciproca e di dialogo accumulato da quella fase sarebbe rimasto pressoché intatto. Questo avrebbe favorito la progressiva pluralizzazione e democratizzazione delle società dell’Est, il crollo definitivo delle Democrazie popolari tra il 1989 e il 1991 in modo sostanzialmente pacifico, e infine la transizione verso regimi di democrazia liberale e la loro associazione al processo di integrazione europea.

Tuttavia, gli anni ’70 furono caratterizzati anche da altri processi perlopiù limitati al campo occidentale: per quanto all’epoca non fossero facilmente comprensibili le ripercussioni di lunga durata, la loro importanza ci appare oggi pienamente valutabile. Innanzitutto giunsero a conclusione i “Trenta anni gloriosi” di crescita e sviluppo economico che avevano portato l’Europa occidentale e l’occidente nel suo complesso dalle rovine del Secondo conflitto mondiale fino a raggiungere un benessere nella pace mai sperimentato prima.

Le pietre angolari di tale successo erano il ruolo centrale assunto degli Stati Uniti nel riorganizzare l’economia internazionale sin dal 1944, e la disponibilità di risorse energetiche e materie prime dal terzo mondo a prezzi decisamente favorevoli. Quanto al primo aspetto, il rapporto tra gli Stati Uniti e i loro alleati europei iniziò a incrinarsi seriamente dato che la Comunità Europea era ormai un forte concorrente di Washington nell’economia internazionale.

Fu in base a questa considerazione che gli Stati Uniti adottarono una condotta ben più unilaterale, che guardava innanzitutto alla soddisfazione dei propri interessi anche a scapito di quella degli alleati, e progressivamente si diffusero dottrine e pratiche economiche cosiddette “neoliberiste”, orientate a un ritiro delle autorità statali dall’economia e a una maggiore libertà di movimento e di profitto per i capitali privati (non pochi osservatori ravvisano in questa fase l’inizio di ciò che oggi è comunemente definito “globalizzazione neoliberista”).

Nel secondo caso, la maturazione del processo di decolonizzazione creò nuove sovranità nazionali nel Sud del mondo sempre più coscienti di quanto preziose fossero per il Nord le materie prime e le fonti d’energia di cui essi disponevano. Un incremento del loro prezzo avrebbe consentito un parallelo aumento dei proventi e la disponibilità di capitali necessari a garantire il “decollo” industriale e la modernizzazione degli stessi paesi: per tali ragioni a partire dal 1973 (e solo parzialmente in conseguenza del conflitto israelo-palestinese) i prezzi del petrolio quadruplicarono.

Il risultato di lungo periodo fu che i paesi del Nord del mondo, e in particolare quelli dell’Europa occidentale, furono costretti a mutare sensibilmente il loro stile di vita adottando misure di contenimento degli sprechi, di risparmio e di ricerca di fonti alternative di energia che prosegue a tutt’oggi.

Giovanni Bernardini - ricercatore presso Istituto storico Italo-Germanico - FBK

19/02/2015