La coscienza del vero. Capolavori dell'Ottocento Da Courbet a Segantini

Si aprono le prime mostre della direzione Maraniello che vuole inserire il Mart in una costellazione culturale capace di superare i propri perimetri

[ Mart]

Con le mostre che aprono il 5 dicembre il nuovo corso del museo si delinea agli occhi del pubblico. Le mostre permanenti, divise su due piani e eterogenei modelli espositivi, esaltano il progetto architettonico originale del museo di Botta, con il quale dialogano in una coerenza di colori, luci, utilizzo degli spazi.

Da un lato la mostra La coscienza del vero che intende indagare alcuni momenti della cultura figurativa ottocentesca, nella stagione compresa tra il Romanticismo e l’Impressionismo, ovvero fra il 1840 e il 1895, anno della prima Biennale di Venezia. In mostra circa cento opere provenienti da prestigiose raccolte pubbliche e private o appartenenti alle Collezioni del Mart.

Spiccano i lavori di maestri indiscussi come Gustave Courbet, Giovanni Segantini, Francesco Hayez, Giovanni Boldini e Franz von Lenbach, ma anche Carlo Bellosio, Mosè Bianchi, Giustiniano degli Avancini, Alessandro Guardassoni, Pompeo Marino Molmenti, Eugenio Prati, Giuseppe Tominz

Dall'altro “Le Collezioni” con cui il Mart attraversa quasi due secoli di storia dell’arte italiana e internazionale. In un allestimento fortemente coerente con l’architettura di Mario Botta, vengono presentati i maggiori capolavori delle raccolte museali. 

Alessandra Tiddia, curatrice del Mart, ci introduce a La coscienza del vero:

"La mostra intende porre l’attenzione su uno dei valori che più connotarono la cultura figurativa ottocentesca, sia per la sua estensione temporale sia per l’ampiezza di diffusione delle esperienze coinvolte, tanto da poter essere assunto come comune denominatore di un secolo qui raccontato per suggestioni, colte fra le opere delle Collezioni del Mart, più legate alla produzione locale, e alcuni capolavori della pittura italiana, concessi in prestito grazie alla generosa disponibilità di prestatori privati e pubblici a cui va un nostro sentito grazie, ma soprattutto il plauso: il filo che unisce le opere in mostra, da Nord a Sud, fino all’alba del Novecento, è la loro relazione con il concetto di realtà, ovvero la distinzione più o meno consapevole e cosciente fra rappresentazione e riproduzione, fra percezione del vero e illusorietà della visione, fra apparenza ingannevole delle immagini e immedesimazione dello spettatore, fra un linguaggio mimetico e impersonale e lo stile individuale e soggettivizzante, questioni peraltro ancora attuali nella contemporaneità.

A sviluppare una certa consapevolezza in tal senso concorse senza dubbio lo sviluppo della fotografia che innescò nella produzione pittorica e scultorea un processo di emancipazione dalla necessità di imitazione della realtà, che le avanguardie artistiche, dall’Impressionismo al Cubismo, includendo l’Astrattismo, faranno proprio. Ora che le istanze realiste sono assicurate dall’apparecchio fotografico, che non mente nel documentare persone e luoghi, i pittori possono acquisire una nuova libertà espressiva.

Il Realismo, pur rivestendo un ruolo determinante nella cultura artistica ottocentesca, non fu univoco, o per meglio dire non si espresse in maniera univoca, in quanto compreso tanto nei ritratti lenticolari e tesi alla verosimiglianza fisiognomica assoluta (più veri del vero), quanto nelle estensioni soggettive di scenari e paesaggi tendenti a ri-creare la realtà, una dicotomia ben presente nel percorso espositivo della mostra, che riflette questa duplicità.

Storicamente il Realismo prese avvio in seguito a un’azione, una performance ante litteram, quella di Gustave Courbet che nel 1855 ritirò i suoi quadri dall’Exposition Universelle per allestirli in una propria mostra nella vicina Avenue Montaigne, attaccando alla porta un cartello su cui era semplicemente e provocatoriamente scritto “Realismo”".

Alessandra Tiddia - curatrice Mart

03/12/2015