La riforma dei musei italiani

Lorenzo Casini, professore presso l’Università di Roma "Sapienza" l'ha illustrata presso la facoltà di giurisprudenza dell’Università di Trento

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“In un ciclo di lezioni svoltosi al Louvre nel 2008 sono state ripercorse le definizioni di museo introdotte da Paul Valéry negli anni venti del Novento: un ambiente silenzioso, oscuro, ostile, in cui l’assenza di contesto delle opere rende difficile percepirle singolarmente o memorizzarle tutte. Un ambiente, inoltre, che opprime per la sua ingordigia”.

Ha introdotto così Lorenzo Casini, professore presso l’Università di Roma "Sapienza" la sua lezione presso la facoltà di giurisprudenza dell’Università di Trento, ospite del Corso legislazione dei Beni culturali LM, responsabile scientifica: prof.ssa Anna Simonati.

“Se applichiamo ai musei statali italiani queste caratteristiche – ha proseguito – vediamo che esse risultano ancora attuali. L’amministrazione dei beni culturali in Italia risente di un'organizzazione gerarchico-piramidale, che Cavour ha ereditato dalla struttura napoleonica. La riforma italiana degli anni settanta si inserisce in questo contesto e nasce, in certo senso, 'vecchia'. In corso d'opera, poi, non viene mai adeguata ai risultati che avrebbe dovuto perseguire.

Un'organizzazione articolata in 17 strutture regionali con all’interno le soprintendenze e, fanalino di coda, i musei che non erano dotati di alcuna autonomia organizzativa e scientifica perché incorporati nella soprintendenza. Ciò ha determinato, ad esempio, che alle riunioni con i musei europei e mondiali sedesse il soprintendente, con due conseguenze: da un lato la non emersione dell’istituto museo, dall’altro un sovraccarico di lavoro per il soprintendente, che di fatto rendeva impossibile gestire adeguatamente i musei.

La riforma degli anni settanta era partita con alcuni obiettivi fondamentali: un’amministrazione decentrata e responsabile; norme di contabilità che garantissero rapida e pronta azione; la formazione di un corpo di funzionari con alta specializzazione giuridica.

Nessuna di queste condizioni si è avverata – precisa Casini -. In tal senso, la riforma attuale è riuscita a non inventare nulla ma ad attuare quanto si richiedeva da oltre cinquanta anni. Nasce come esigenza di ripristinare una normalità nell’amministrazione dei beni culturali, per intervenire rispetto ad alcuni vizi originari quali: disallineamento con la disciplina sostanziale, difetto di coordinamento con le riforme amministrative, mancato collegamento con la definizione delle funzioni amministrative.

Per tentare di superare i problemi, la riforma ha puntato su quattro principali aspetti: articolo 9 della Costituzione, nel senso di  porre l’attenzione su educazione e ricerca come strumenti fondamentali per occuparsi di patrimonio culturale; integrazione tra cultura e turismo; creare davvero un sistema museale; riordino e potenziamento soprintendenze come diretta conseguenza del precedente.

La creazione di un sistema museale nazionale passa attraverso il riconoscimento di uno status giuridico dei musei e un nuovo ruolo delle soprintendenze. Per realizzare ciò, ci si è ispirati al modello francese con la creazione di una direzione generale che coordina tutto quello che devono svolgere i musei statali, una  struttura centrale con articolazioni territoriali (17 poli museali) con l’obiettivo di pervenire a un sistema museale integrato.

Per raggiungere questo risultato, per prima volta lo stato italiano in un suo regolamento guarda alla definizione di museo proposta dall’Icom: “A museum is a non-profit, permanent institution in the service of society and its development, open to the public, which acquires, conserves, researches, communicates and exhibits the tangible and intangible heritage of humanity and its environment for the purposes of education, study and enjoyment.”.

Non la riprende però pedissequamente (Il Museo è un’istituzione permanente senza scopo di lucro, al servizio della società e del suo sviluppo, aperta al pubblico, che effettua ricerche sulle testimonianze materiali e immateriali dell’uomo e del suo ambiente, le acquisisce, le conserva, le comunica e specificamente le espone per scopi di studio, istruzione e diletto), ma nella traduzione aggiunge un richiamo all’art. 9 della Costituzione con la specificazione: “ e promuovendone la conoscenza presso il pubblico e la comunità scientifica".

Sono state quindi individuate 20 strutture ritenute rilevanti, dotate di autonomia scientifica, organizzativa e finanziaria, il cui modello di riferimento sono strutture speciali quali il Colosseo e l'area di Pompei. Tra le 20 realtà selezionate figurano la Galleria Borghese, la Galleria dell'Accademia di Venezia, il museo di Capodimonte a Napoli, la Reggia di Caserta. Maxxi e Museo Egizio di Torino, invece, rimangono fondazioni.

Accanto a esse, ai poli museali fanno capo tutti gli altri musei del territorio.

La riforma riordina anche le soprintendenze togliendo ad esse le funzioni museali per permettere un potenziamento delle attività di tutela sui beni del patrimonio culturale" - conclude Casini.  

redazione

10/11/2015