Vincenzo e Gian Gerolamo Grandi. Scultori di pietra e di bronzo nel Cinquecento veneto
Il volume sarà presentato giovedì 5 marzo alle 17 a Trento presso il Castello del Buonconsiglio - Sala Grande
Il volume, edito dalla Soprintendenza per i Beni culturali, approfondisce le figure di Vincenzo Grandi e di suo nipote Gian Gerolamo, scultori e bronzisti del XVI secolo. Discendenti di una famiglia di lapicidi di origine lombarda trapiantata a Vicenza nella prima metà del Quattrocento, i due artisti esercitarono la propria attività principalmente a Padova, dove Vincenzo si trasferì all’aprirsi del Cinquecento raggiungendovi il fratello maggiore Gian Matteo e dove, nel 1508, nacquero suo nipote Gian Gerolamo, che diventerà il primo collaboratore dello zio, e Andrea Palladio, che Vincenzo tenne a battesimo. Pur coltivando sempre un legame privilegiato con Vicenza, la carriera dei Grandi si svolse principalmente nella città euganea, con l’eccezione di una significativa parentesi a Trento.
La formazione dei due artisti avvenne nel vivace ambiente culturale padovano degli inizi del XVI secolo, caratterizzato da uno spiccato gusto per l’antico e segnato dai capolavori di Donatello e di Mantegna, di Andrea Riccio e dei Lombardo. Dopo gli esordi nel campo della scultura decorativa, Vincenzo ottenne incarichi via via più impegnativi che, oltre a testimoniare il crescente successo incontrato, lo fecero approdare nel prestigioso cantiere della Basilica del Santo. Qui, in momenti diversi della sua lunga carriera, la bottega da lui diretta realizzò i monumenti funebri a due illustri dottori dello Studio cittadino (il filosofo francescano Antonio Trombetta e il teologo Simone Ardeo) e il piedritto che chiude sulla sinistra la Cappella dell’Arca, luogo simbolo del tempio, progettato e destinato a custodire le venerate spoglie di Sant’Antonio.
Il capolavoro grandiano per antonomasia risale però al periodo trentino (1532-1542): la cantoria per l’organo nella chiesa di S. Maria Maggiore, che rappresenta la felice sintesi e il compimento delle precedenti esperienze di Vincenzo e Gian Gerolamo. Al soffitto del basamento della tribuna marmorea sono appesi tre straordinari tondi in bronzo raffiguranti tre Profeti che la critica ha spesso accostato a Gian Gerolamo, ricordato da fonti e documenti con la qualifica di ‘fonditore’ e ‘orefice’. In questi busti clipeati, all’insegna di un linguaggio autenticamente moderno e cinquecentesco, è possibile cogliere quella familiarità con l’arte fusoria che i Grandi espressero anche in un cospicuo numero di piccoli bronzi comprendenti bacili, picchiotti, placchette, candelabri e soprattutto campanelli da tavolo: oggetti d’uso all’epoca molto apprezzati e oggi conservati presso musei europei e americani.
A quasi mezzo secolo dalla monografia che Francesco Cessi dedicò ai Grandi (1967), il presente studio offre un aggiornamento bibliografico e soprattutto propone, per la prima volta, il catalogo ragionato delle loro opere, rivisto alla luce degli apporti di vari studiosi italiani e stranieri che si sono susseguiti negli ultimi decenni. Il catalogo così ricostruito è stato articolato in due parti: la prima, relativa alle opere lapidee, è organizzata cronologicamente, in virtù degli appigli documentari di cui si dispone; mentre nella seconda, riguardante i bronzi, in assenza di riferimenti certi, il materiale è suddiviso per tipologia. L’attenta analisi stilistica dei singoli manufatti ha consentito da un lato di ridimensionare il corpus di opere riconducibili all’équipe di Vincenzo e Gian Gerolamo, dall’altro di certificare la paternità grandiana per altri lavori, precisando il ruolo avuto dai due nel contesto artistico padovano e definendo in maniera più precisa le loro reciproche personalità.
Di questo dà conto il saggio introduttivo, articolato in cinque capitoli, ove si ripercorrono le tappe salienti della biografia e della carriera dei Grandi; si fornisce una rassegna della fortuna critica, dalle attestazioni di apprezzamento dei loro contemporanei alla riscoperta della loro arte da parte dell’erudizione ottocentesca; si chiarisce la data di nascita di Vincenzo, anticipandola al 1485, e si rammentano i precedenti familiari nella Vicenza quattrocentesca che sono funzionali ad un approccio più consapevole alla successiva produzione di zio e nipote; si vagliano e, in parte, si ridefiniscono cronologie, iconografie, committenze e genealogia del loro stile; si colgono i legami dei due con importanti protagonisti della scultura veneta del XVI secolo, confermando il determinante nesso con Andrea Riccio, principale interprete della bronzistica padovana di inizio Cinquecento, e scoprendo, nel solco della lezione lombardesca, inedite parentele stilistiche con l'ancora enigmatico Pirgotele.
27/02/2015