#canonecontemporaneo (1951) – 2014

Conosciamo più da vicino una delle due sezioni di  #collezionemart, il viaggio nella storia dell'arte del '900 in mostra al Mart di Rovereto.

#canonecontemporaneo raccoglie alcuni dei principali sviluppi della ricerca visiva dal secondo dopoguerra ad oggi, concludendo la seconda parte del percorso #collezionemart.

Sono molti i sottotesti che hanno animato questa scrittura espositiva, delineata a partire da un’interrogazione preliminare: rintracciare il lavoro di quegli artisti più prossimi a un’attitudine di cambiamento, che promuovono la carica vitale dell’azzeramento, per i quali l’arte non è un particolarismo linguistico che accoglie il quotidiano e le questioni sociali, ma è il potenziale per cambiarli.

A proposito di questo potere, talvolta considerato magico: “Il vero artista aiuta il mondo rivelando verità mistiche”. Sia pur presumendo l’ironia, sia prendendolo sul serio, questo monito al neon di Bruce Nauman del 1967 è ricco di altri attributi che contribuiscono a definire la domanda di cui sopra: come si manifesta il contemporaneo? Questo (capo)lavoro emblematico suggerisce che l’arte sia dunque un medium, nella sua più vasta accezione, e che formuli concetti, attraverso tecniche e materiali non tradizionali.

Nell’ambito della collezione del Mart abbiamo potuto scegliere due opere consonanti: la prima, la serie di video che lo stesso Nauman girò nel proprio studio compiendo esercizi fisici ripetuti e nonsense “perché se un artista normalmente sta in studio, qualsiasi cosa che vi realizza deve essere arte”, comporta ulteriori domande sul suo statuto e sul ruolo dell’artista, per molti considerate in questi anni già maturamente opera; talvolta paradossale o tautologica, come pure gli Assiomi dimenticati a memoria di Vincenzo Agnetti.

L’altro lavoro sempre al neon che segna una decisa rottura con i canoni precedenti e con cui assieme al collega Denis Isaia abbiamo deciso di aprire questa mostra è il Cirro luminoso dell’architetto e scenografo roveretano Luciano Baldessari, virtualmente il più “antico” del percorso, del 1951, anno in cui Lucio Fontana lo concepì per la nona Triennale di Milano proprio su proposta di Baldessari, entrambi considerando lo spazio non più come contesto ma come materia, innovando dunque radicalmente il concetto di scultura. Il Cirro del ’72 esposto al Mart nei primi anni novanta rivede oggi la luce grazie ad un intervento di restauro per questa mostra, che esplica una delle altre importanti missioni del museo.

A seguito de La magnifica ossessione, una delle sfide da tentare era quella di offrire al pubblico cose mai viste. Questo è stato possibile anche attraverso lo sguardo attento dei circa cento collezionisti che perseverano la propria fiducia in questa istituzione: oltre che con le operazioni di conservazione dunque, abbiamo potuto proporre il nuovo con le recenti acquisizioni, ad esempio la bellissima serie fotografica Napoli-Caserta di Gabriele Basilico dalla collezione Cotroneo, con i prestiti exhibition specific di Giorgio Fasol con un frammento di cruda realtà di Teresa Margolles e i rifiuti sublimati di Vik Muniz da Danilo Vignati. Ma soprattutto con l’inesposto, come i grandi americani selezionati negli anni ottanta da Alessandro Grassi: da Robert Longo a David Salle, da Peter Halley a Robert Mapplethorpe, da Cindy Shermana Jenny Holzer.

La mostra si protrae fino al 2014 interferendo quasi con la nostra quotidianità, con alcuni lavori di artisti nati negli anni settanta e ottanta, già acclamati da critica, istituzione e mercato come le stampe di errori controllati di Wade Guyton e i graffiti su tela di Sterling Ruby. Pochi passi e pochi anni prima e dopo, e tutto intorno, queste opere nonostante la breve distanza temporale (che appunto non ci allontana ma ci avvicina), appartengono già al nostro immaginario collettivo.

 

 

Veronica Caciolli - Curatrice, Mart

01/05/2015