Affidarsi al cielo

Gli ex voto del santuario di Montagnaga di Pinè in mostra presso il Museo diocesano tridentino: il legame tra dimensione terrena e divina attraverso richieste d'aiuto e manifestazioni di riconoscenza 

Entrando in un santuario spesso ci si imbatte in pareti tappezzate da tavolette dipinte, esposte una a fianco dell’altra, in una sorta di ossessivo horror vacui che non prevede cesure spaziali. Analoga soluzione venne adottata negli allestimenti delle grandi gallerie e quadrerie nobiliari tra i primi del Seicento fino al Settecento inoltrato: il pezzo singolo risultava subordinato all’insieme; la sua ostensione era funzionale alla costruzione di un’unità visiva globale che il visitatore coglieva,con stupore, in un solo colpo d’occhio.

Lo stesso avviene nel caso degli ex voto: disposti senza un criterio ordinatore, se non quello dettato dal momento dell’offerta, spesso collocati ad altezze che non consentono di coglierne i particolari, sono tessere di una sorta di opera collettiva, incardinata al luogo che la ospita. Il santuario, appunto.

La loro funzione, direbbe Krzysztof Pomian, è quella di offrirsi allo sguardo. Uno sguardo duplice: quello di Cristo, della Vergine o del Santo al quale ci si è rivolti in un momento particolare della propria vita e che ora, tramite quel dono, si intende ringraziare; quello di altri fedeli chiamati a condividere frammenti di storie vissute, nelle quali quotidiano e straordinario tendono a mescolarsi.

Le offerte divengono così il muto raccordo tra visibile e invisibile: lo sguardo che si posa sulla rappresentazione di un fatto ordinario, la malattia, un incidente, una calamità naturale, è spinto ad andare oltre, a raggiungere una dimensione ‘altra’ evocata dall’ex voto. Il miracolo, quanto oltrepassa il limite dell’azione umana, irrompe prepotentemente, proprio perché amplificato dalla ripetizione dei gesti, le mani chiuse in preghiera, le braccia che si levano al cielo, lo sguardo rivolto fiducioso verso l’alto, che ciascuna tavoletta propone, in una monotona e ben codificata sequenza che rinsalda la speranza, l’attesa dell’intervento risolutore.

La scena spesso si limita alla semplice richiesta di grazia, senza nulla concedere al racconto; talvolta invece appare bloccata in una sorta di fermo immagine, che focalizza l’attenzione del riguardante sull’accadimento che ha motivato la richiesta di aiuto. È un tempo sospeso: è il tempo della fiduciosa attesa che la disgrazia, la malattia, l’evento infausto non sia irreversibile. Comune denominatore di queste immagini, costruite volutamente secondo schemi ricorrenti e per questo rassicuranti, è la sofferenza, componente ineludibile della vita di ogni uomo, a qualsiasi ceto sociale appartenga. Sono lacerti di dolore che salgono verso il cielo.

Quel cielo al quale ci si affida.

Domenica Primerano - direttrice del Museo diocesano tridentino

27/04/2015

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