“Confini. Italiani dalla parte del nemico”, la "Lezione" di Corni

Al centro del focus la peculiare situazione del Trentino nella Prima guerra mondiale e le sue conseguenze a livello sociale.

[ Servizio attività culturali Pat]

Settima #Lezionidistoria del ciclo Laterza con spostamento di orario causa disinnesco bomba a Rovereto. La storia entra con prepotenza nell'attualità (anche se in questo caso l'ordigno risaliva alla Seconda guerra mondiale) e dunque l'appuntamento con Confini. Italiani dalla parte del nemico tenuto dallo storico e docente di storia contemporanea all'Università degli studi di Trento Gustavo Corni e introdotto da Quinto Antonelli è andato in scena lunedì pomeriggio alle 18.

Al centro del focus la peculiare situazione del Trentino nella Prima Guerra Mondiale e le sue conseguenze a livello sociale.

Terra di confine, allo scoppio della guerra parte dell'Impero austroungarico, il territorio trentino visse in modo particolare gli anni del conflitto, con importanti conseguenze soprattutto sotto il profilo del dibattito sull'”appartenenza”.

«La letteratura sulla tematica è molto ricca – ha detto Corni - dagli anni '70 vi sono stati diversi filoni importanti di studi che hanno fatto del Trentino un laboratorio avanzato della ricerca storiografica non solo a livello nazionale, ma anche europeo. Questo anche grazie alla grande disponibilità di fonti, in particolare la scrittura popolare, figlia di un'alfabetizzazione molto peculiare del Trentino (alla vigilia della guerra era inferiore al 15%, mentre in Italia per i soli maschi era al 45%). Nonostante questo, vi sono ancora alcune pagine da approfondire».

I soldati. Il Trentino ha vissuto la guerra sulla propria pelle ben prima del luglio 1914, perché era terra di confine e già dall'inizio del '900 l'Austria-Ungheria stava fortificando il territorio: pensiamo ad esempio alla costruzione della ferrovia della Valsugana, che ha in primis motivazioni militari. L'esercito austroungarico era composto da 3,3 milioni di combattenti su un totale di 50 milioni di abitanti; gli italiani erano 13 su 1000, fra gli ufficiali solo 2 su 1000. Nel suo appello alle armi Francesco Giuseppe si richiamò ai Meine Völker, i miei popoli, chiamando tutti ai massimi sacrifici per la Vaterland, la patria. Si registrò una sostanziale obbedienza in Trentino, seppur senza entusiasmi, con una mobilitazione incredibile: 55 mila trentini e 65mila triestini tra i 18 e 50 anni vennero arruolati fra luglio e agosto 2014. In larga parte andarono a combattere sul fronte orientale in Galizia: una carneficina, nei primi 4 mesi di guerra fra gli austriaci furono almeno 730.000 le perdite. Qui si consumò il destino di gran parte dei trentini e triestini: gran parte degli 11.400 scomparsi trentini cadde in questi primi mesi.

I profughi. Fin dagli anni precedenti alla guerra le autorità politiche sapevano che ci sarebbe stata la necessità di evacuare una parte della popolazione trentina, quella più a ridosso con il confine italiano. Trento e Riva avrebbero dovuto diventare delle fortezze, con diritto militare, perché i civili rappresentavano un intralcio per i militari. Questo sradicamento dalla patria – che avvenne in poche ore - è il fattore determinante per dare il la alla diffusione della scrittura popolare sulla guerra. Il censimento del 1918 parla di 140.000 profughi italiani d'Austria evacuati; quelli arrivati in Austria si scontrano con un'accoglienza da parte delle popolazioni locali non certo amichevole. Anche i diari testimoniano che i trentini vivevano questa situazione come un esilio, che non venivano certo trattati come “compatrioti” dalle popolazioni della Boemia e della Moravia. «A ciò – ha notato Corni - va aggiunto che la massa di questi profughi non aveva una classe dirigente, qualcuno che potesse dare una linea di condotta. I sacerdoti fanno molto anche per surrogare questa mancanza anche se sono solo 1 ogni 45 villaggi».

I prigionieri. Nella prigionia in Russia, moltissimi trentini lavoravano, dunque erano fuori dai campi di concentramento, e si occupavano di agricoltura surrogando i tanti contadini locali partiti per il fronte. Erano ben 2 milioni e mezzo i prigionieri austroungarici prigionieri dei Russi, tra questi ben 25.000 tra trentini e triestini.

I martiri. Dalle cartoline dei volontari che poi diverranno dei Martiri si evince la loro forte tensione morale. Furono circa un migliaio i trentini quasi tutti giovani che fecero questa scelta, non certo di comodo, perché sapevano che, se catturati, sarebbero stati giustiziati come Battisti, Chiesa e Filzi. 

Il ritorno. Per i sopravvissuti a quella terribile prova fu molto duro perché molti trovarono villaggi distrutti, orrore e devastazione, non cibo, non lavoro.

«Ci sono delle storie incredibili di persone – ha concluso Corni - che hanno fatto il giro del mondo per tornare a casa, nel 1920, non trovando più niente di quello che avevano lasciato, solo povertà e facce cambiate. Un'altra patria».

Roberto Bertolini

17/11/2015

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