Storie di ricerca sul campo

Tra tronchi caduti, la ripresa della biodiversità

[ MUSE – Museo delle Scienze | TCU cbasso]

L’altopiano di Pinè è una delle zone che, tra ottobre e novembre 2018, è stata colpita dalla tempesta Vaia. Intere aree boschive sono state rase al suolo lasciando ferite profonde in un paesaggio quasi irriconoscibile. Oggi, a quasi sette anni di distanza, laddove non vi erano altro che marroni chiazze di tronchi spezzati, si iniziano a vedere diverse sfumature di verde, segnale che la natura sta inesorabilmente riprendendo gli spazi che le peccete schiantate avevano negato. Ma come stanno cambiando questi ambienti? Chi li sta popolando e chi, timidamente o meno, sta tornando a ripopolarli?

Queste domande se le sono poste anche le ricercatrici e i ricercatori MUSE che, insieme all’Università di Firenze, stanno studiando proprio il ripopolamento delle zone colpite da Vaia. Per capire meglio come stanno portando avanti questi studi mi unisco a loro in una splendida mattina di fine estate. Come prima cosa mi mostrano una mappa dell’area di studio che mette in evidenza le zone a basso, medio ed alto impatto. In queste tre tipologie di area Matilde Marconi, Giulia Bombieri, Alessandro Biallo e Simone Dal Farra stanno portando avanti il monitoraggio delle comunità animali presenti, con un focus sui mammiferi.

Abbiamo suddiviso queste aree in celle di 500 x 500 metri. In totale stiamo studiando 54 celle”, spiega Matilde Marconi, che sta svolgendo il suo dottorato presso l’Università di Firenze in collaborazione con il MUSE, e con la supervisione del professor Francesco Rovero. “Al centro di ogni cella abbiamo installato una fototrappola fuori da strade e sentieri per monitorare la presenza di meso e grandi mammiferi e, su un transetto lineare di 100 metri, abbiamo posizionato 10 trappole per rilevare la presenza dei micromammiferi”.

Ci concentriamo su di loro: i micromammiferi. Sono arvicole (principalmente arvicole rossastre, Clethrionomys glareolus) e topolini (del genere Apodemus) che, attratti da una gustosa esca a base di burro di arachidi, avena e semi di girasole, entrano nella piccola trappola metallica dove rimarranno per una notte, avvolti nella morbida ovatta, a gustarsi il ricco premio. Il minino, visto il loro grande contributo alla ricerca!

Il primo transetto lo percorriamo nel bosco. Siamo in un’area a basso impatto dove la forza di Vaia è stata limitata. Le trappole si trovano a 10 metri l’una dall’altra. “Le abbiamo posizionate ieri”, continua Matilde. “Le controlleremo per quattro giorni di fila. La stessa cosa l’abbiamo fatta prima dell’estate, a maggio, e questo ci permetterà di capire le differenze tra le comunità di micromammiferi nelle diverse aree di impatto”.

La presenza di numerosi piccoli escrementi neri ci fa capire che la trappola che Matilde ha appena aperto contiene un piccolo ospite. In questo caso l’ospite è piccolissimo visto che si tratta di un topolino che non supera i 10 grammi di peso. Il peso viene preso sul posto, con una bilancia a molla, una sorta di sottile cilindro al quale viene attaccato un sacchetto trasparente in cui viene messo l’animale. Il topolino viene successivamente marcato con il taglio del pelo effettuato in una piccola porzione del corpo; viene annotato il sesso e, dove possibile, lo stato riproduttivo. Il tutto dura pochi minuti dopo i quali l’animale viene rilasciato. Dal momento che l’esca è un attrattivo irresistibile, il piccolo mammifero potrebbe essere nuovamente catturato; a questo serve la marcatura, a segnalare chi è stato catturato più volte e chi, per la prima volta, è entrato nella trappola.

La trappola viene poi ripulita, l’ovatta cambiata, una nuova esca preparata e riposizionata nel medesimo punto.

Scegliere su quali celle lavorare, selezionare i siti per le fototrappole e capire come predisporre i transetti è stato un lavoro impegnativo e ha richiesto tempo”, racconta Giulia Bombieri, ricercatrice MUSE. “Ad aprile abbiamo posizionato le 54 fototrappole e a maggio siamo partiti a monitorare i micromammiferi. Durante i mesi estivi sono stati fatti i rilievi sulla vegetazione, annotando le specie arboree e arbustive presenti. A luglio abbiamo rimosso le fototrappole, che sono poi state riposizionate negli stessi punti nel corso del mese di agosto, e ora stiamo svolgendo il secondo giro di monitoraggio sui micro. A ottobre toglieremo le fototrappole e inizieremo ad analizzare i dati”. Insieme a Matilde e Giulia ci sono anche Alessandro Biallo, che sta svolgendo il suo periodo di tirocinio per tesi magistrale, e Simone Dal Farra, tecnico faunistico presso il MUSE, anche loro coinvolti in questo studio.

È bello osservare la coordinazione, la precisione e la manualità di questa squadra di giovani ricercatrici e ricercatori. Manipolano questi piccoli animali con precisione e delicatezza riempiendo schede di dati, confrontandosi e condividendo pensieri e possibili scenari futuri. Ci spostiamo in una delle zone ad alto impatto e li seguo in un intrico di vegetazione; qui la tempesta ha raso al suolo la pecceta, ma nonostante questo ci facciamo strada tra numerose specie di giovani latifoglie che stanno crescendo laddove non vi erano che abeti rossi. I rovi ricoprono gran parte delle superfici ma sotto di essi si sta facendo strada una nuova e complessa comunità vegetale. La natura non si arresta e questo è solo uno dei tanti casi che ce lo dimostra. Il germogliare di un seme crea le basi per la nascita di un nuovo ecosistema la cui complessità evolverà veloce ignorando la nostra presenza laddove gli permetteremo di farlo.

L’estate ormai è alle spalle e con essa, anche molte ricerche si sono ritrasferite nei laboratori e negli uffici, la mole di dati da analizzare è consistente e necessita di altrettanto tempo e concentrazione. Le fototrappole sono state rimosse così come le piccole trappole di metallo; per qualche mese nessuno spierà quel mondo ricco di vita e di passaggi e mi piace pensare che sia bello così, che possa rimanere un’incertezza e che a volte possano succedere cose che vadano oltre il nostro controllo. Alla prossima stagione!

Articolo di Elisabetta Filosi

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15/10/2025

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