People, places and things

PEOPLE, PLACES AND THINGS
Di Duncan MacMillan
Traduzione Monica Capuani
Regia di Pierfrancesco Favino
con Anna Ferzetti, Betti Pedrazzi
e con (in o. a.) Fabio Balsamo, Totò Onnis, Thomas Trabacchi
“Le cose, i posti, le persone che fanno parte della nostra vita sono la mappa del nostro viaggio su questa terra.
A volte ci torniamo con gioia, in altre facciamo di tutto per dimenticarle perché ci ricordano cose di cui proviamo vergogna, che non vogliamo più vedere, che ci fa tanta paura affrontare.
In un tempo in cui passiamo i giorni a rincorrere l’immagine di chi dovremmo essere per sentirci all’altezza, a negoziare chi siamo di volta in volta a seconda delle chiacchiere del momento, questo testo ci dice tutto ciò che facciamo per evitare di guardarci dentro, quello che usiamo per farlo e come sia possibile una volta toccato il fondo rinascere se riusciamo ad ammettere le nostre ferite e troviamo il coraggio di prendercene cura."
Pierfrancesco Favino
Lo spettacolo racconta in modo intenso e frammentato il percorso di recupero da dipendenze, mescolando il dramma personale a elementi metaforici e teatrali. La storia ruota attorno a Emma (che in seguito rivela il suo vero nome, Sarah), una donna afflitta da alcolismo e tossicodipendenza, che si trova in un centro di riabilitazione dove partecipa a gruppi di terapia. Emma lotta contro la dipendenza insieme agli altri membri del gruppo (tra cui personaggi ironici come Mark, Paul e altri), condivide le proprie esperienze dolorose, i fallimenti e le difficoltà di uscirne. Emma/Sarah è costantemente divisa tra il personaggio che interpreta e la sua vera identità.
La sua difficoltà a riconoscere se stessa, a volte vedendosi come la protagonista del “Gabbiano di Cechov”, riflette il conflitto interiore tra la maschera sociale e il dolore reale. Attraverso le sessioni di gruppo della protagonista, lo spettacolo mette in luce sia il potere catartico della condivisione sia le tensioni, le resistenze e i momenti di crisi che si manifestano quando si cerca di abbandonare vecchi schemi comportamentali.
Lo spettacolo suggerisce che la vita stessa può essere vista come una performance in cui i ruoli, le maschere e la recitazione influenzano la percezione della realtà. Lo spettacolo racconta momenti di confronto emotivo e scontri verbali: Emma è resistente a partecipare al gruppo di recupero, esprime rabbia e frustrazione, e si confronta sia con i terapeuti che con i membri del gruppo. Le dinamiche familiari emergono con forza, in particolare nel rapporto conflittuale con i genitori, che rappresentano il passato doloroso e i legami non risolti.
Attraverso dialoghi intensi e momenti di profonda vulnerabilità, la protagonista si svela, alternando momenti di disperazione a istanti di presa di coscienza e desiderio di cambiamento. Nonostante le difficoltà, il gruppo di terapia diventa uno spazio dove si cerca di superare il senso di impotenza, di rinascere, accettando le proprie fragilità e abbracciando il presente.
Verso la fine, Emma tenta di mettere in pratica le lezioni apprese, culminando in una sorta di performance sul palcoscenico che simboleggia il suo risveglio spirituale e la consapevolezza del valore della vita. In sintesi, il copione è un ritratto crudo e poetico della lotta interiore e della rinascita personale, dove il confine tra vita e rappresentazione si fa sottile e l’unico modo per proseguire è abbracciare il caos e dire "sì" alla vita, nonostante le incertezze e le ferite del passato.
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