Castello di Lodrone

I castelli ci raccontano la nostra storia e schiudono al contempo la nostra immaginazione: dopo Castel Restor continuiamo il nostro viaggio alla loro scoperta. Di Michele Dalba e Lia Camerlengo

Salendo da Brescia per la Val Sabbia l’unica cosa che, al Ponte Caffaro, vi faccia accorgere che uscite dai confini dello stato è la voce del doganiere austriaco il quale, affacciandosi alla carrozza, vi chiede se avete “nulla da daziare”, e perché la meraviglia vostra sia maggiore, ve lo chiede magari in buon dialetto veneto o trentino. Di là comincia la Valle superiore del Chiese, prima larga fino a Storo, più ristretta poi fino alla confluenza del torrente Adanà, alpestre e veramente magnifica [...]. Nei primi tratti i villaggi spesseggiano: quale adagiato in mezzo alla campagna, solcata dalla tortuosa corrente del Chiese; quale inerpicato su per la costiera, mezzo celato fra i boschi di castagni; quale infine alto sulle rupi, digradanti per ripide scogliere sul piano; qua e là poi, a mezzo monte, quasi testimoni di quei due grandi motori delle passate età che furono la religionee la forza, si mostrano ancora bianche o variopinte cappelle e vecchi castelli diroccati. Castel S. Giovanni si specchia nel lago d’Idro; Castel S. Barbara sta quasi celato in una insenatura della montagna presso Lodrone [...] G. Papaleoni, Castel Romano..., 1891 (ed. 1994)

Il castello di Lodrone, conosciuto nelle fonti più tarde come Rocca di santa Barbara, è menzionato nei documenti a partire dal 1189. Nell’estate di quell’anno il vescovo Corrado concesse ad alcuni uomini di Storo il feudo del castello, un tempo diviso con la domus «de Lodrone», in quella che appare essere la riconferma di un consorzio già esistente tra i nuclei parentelari di Storo e di Lodrone.

Una gestione del castello più antica, esercitata dai due gruppi – pare in modo conflittuale –, è effettivamente confermata da un documento di qualche mese precedente. In agosto, tuttavia, appare evidente il ruolo preminente degli Storo rispetto ai Lodrone nella conduzione del castello (Bettotti 2002, pp. 132-133). Se lo stato dei rapporti tra le due domus, come trapela dagli atti, rivela risvolti interessanti, appare di maggior richiamo – per chi osserva da lontano i ruderi o ha la fortuna di passeggiare tra le strutture – la descrizione del complesso presente in questa testimonianza del XII secolo.

Innanzitutto, originariamente, il presidio doveva essere articolato su quote diverse, infatti nell’enunciazione delle parti spettanti agli uomini di Storo trapela una distinzione tra quello che era il castello «ascendens (o superius)» e quello «descendens (o inferius)» (Rovigo 2013, p. 102). Nella porzione superiore stava il dolone o dongione; un termine che nelle fonti trentine è attestato solo a Lodrone e nel senso ampio, desunto anche da altri casi dell’Italia settentrionale, definisce «un ridotto fortificato, posto all’interno del castello e contenente a sua volta una pluralità di edifici; in esso è la residenza del signore o comunque la sede del potere che detiene la fortezza [...] “una specie – dunque – di castello nel castello”» (Settia 1984, p. 381).

Nel caso specifico, probabilmente, questo nucleo era costituito da un palazzo signorile e da altri edifici, tra cui una torre quadrangolare, di cui restano scarse tracce sulla sommità del dosso che paiono legate al resto del ridotto difensivo (G. Gentilini, C. Miotello, I. Zamboni, in Apsat 4 2013, pp. 371-379). Allo stesso periodo si riconduce una torre scudata (ossia una torre aperta sul lato interno), situata a quote inferiori, e potrebbe essere identificata con la turris del castrum descendens, pure ricordata nel documento. Forse coevo o di poco posteriore a questi primi interventi costruttivi è il palazzo superiore, un grande edificio organizzato in principio su almeno due piani (doppio ordine di feritoie) e sopraelevato in un secondo momento.

Nel Trecento, in concomitanza con l’accresciuto potere della famiglia Lodron e la sua maggiore influenza nello scacchiere del Trentino sud-occidentale, furono patrocinati diversi interventi di ammodernamento e ampliamento al castello. Proprio mediante questi centri fortificati i Lodron potenziavano la loro posizione nelle Giudicarie, cercando di sottrarre influenza alle altre famiglie signorili del territorio e imponendosi, anche con la forza, sulle comunità vicine. Nei documenti di fine XIV secolo emergono i soprusi commessi dai Lodron – approfittando della momentanea debolezza dei d’Arco, dovuta alla morte violenta del capofamiglia Antonio – ai danni delle comunità di Preore, Bondone e Condino.

Tuttavia, la loro influenza accrebbe anche attraverso personaggi di notevolissimo spessore e mediante «un’accorta politica matrimoniale di alto livello e a vasto raggio, rivolta sia verso l’area bresciana, bergamasca e padana, sia verso famiglie trentine e stirpi tirolesi legate alla corte imperiale» (Bettotti 2002, p. 780). Allo stesso modo, così come venivano rinsaldati i legami familiari, tra XV e XVI secolo furono ulteriormente potenziate le difese del castello. In questa fase vennero realizzati le possenti scarpe in muratura – che foderano tuttora i circuiti murari e il palazzo –, il torrione circolare e l’attuale portale d’accesso (G. Gentilini, C. Miotello, I. Zamboni, in Apsat 4 2013).

Al medesimo periodo si colloca l’abbellimento dei perimetrali dell’edificio residenziale, realizzato con l’inserimento di alcune palle di cannone nei prospetti di tramontana e mattina. I proiettili di questo tipo non dovevano mancare a Lodrone, infatti, qualche anno prima, Niccolò Piccinino probabilmente ne conficcò qualcuno nelle mura del castello, senza velleità decorative, durante l’assedio del 1439, quando il condottiero «se n’andò alla volta di Lodrone, terra di montagna, et havendola asprissimamemente combattuta, dopo alcuni giorni la prese» (Pellini 1572, p. 161). A questa vicenda seguirono forse dei lavori alle strutture, infatti in un documento del 1445 è ricordata una sala nova et picta (Poletti 2011, p. 18).

Dalle evidenze attuali tuttavia, per quanto lacunose, pare che l’insieme di questi interventi favorì ancora una volta le caratteristiche militari rispetto a quelle residenziali, il presidio, infatti, insieme a San Giovanni di Bondone costituiva una linea importante per la difesa dei possedimenti lodroniani, posti in una zona di passaggio e di confine. Il sistema di sbarramento era ancora efficace nel 1703, tanto che, durante la campagna francese del duca di Vendôme, il conte di Médavy scrisse al ministro della guerra Chamillart che il progetto di passare attraverso i percorsi sorvegliati da queste fortificazioni era difficoltoso poiché «le chemin de la rocq danf [la Rocca d’Anfo] et de Lodron, [...] est un poste bien fortifié» e avrebbe dovuto ricorrere ai percorsi battuti da «les gens qui veulent frauder les droits» (praticamente da contrabbandieri!) per eludere con la sua fanteria il controllo esercitato da questi presìdi (Bressan 2001, p. 104).

In tempi successivi il castello ha conosciuto un processo di degrado e se attualmente resta la fisionomia di un’imponente ‘sentinella’ a vegliare sulle terre circostanti, per quanto massiccia, è comunque incompleta. Il castello è attualmente in fase di restauro da parte della Soprintendenza per i beni culturali di Trento.

Chiuso per restauro

Il testo è tratto da: M. Dalba 2014Dal Castello di Stenico ai castelli delle Giudicarie. Itinerari d’arte e di storia, Trento, Castello del Buonconsiglio. Monumenti e collezioni provinciali, 175 pp.

Bibliografia citata nel testo

Apsat 4 = E. Possenti, G. Gentilini, W. Landi, M. Cunaccia 2013 (a cura di), Castra, castelli e domus murate. Corpus dei siti fortificati trentini tra tardo antico e basso medioevo. Schede 1, Mantova.

Apsat 6 = E. Possenti, G. Gentilini, W. Landi, M. Cunaccia 2013 (a cura di), Castra, castelli e domus murate. Corpus dei siti fortificati trentini tra tardo antico e basso medioevo. Saggi, Mantova.

M. Bettotti 2002, La nobiltà trentina nel medioevo (metà XII - metà XV secolo), Bologna.

L. Bressan 2001, L’invasione del Trentino nel 1703, Arco (Tn).

G. Papaleoni 1891, Castel Romano nella Valle del Chiese, in “Strenna trentina letteraria e artistica”, 1891, pp. 41-60.

G. Papaleoni (ed.) 1994, Tutte le opere, 3, I Lodron, a cura di F. Bianchini, Storo (Tn).

M.P. Pellini 1572, L’historie et vite di Braccio Fortebracci detto da Montone, et di Nicolo Piccinino perugini. Scritte in latino, quella da Gio. Antonio Campano, & questa da Giovambattista Poggio Fiorentino, & tradotte in volgare da M. Pompeo Pellini Perugino, Venezia.

G. Poletti 2011, I Lodron nel contesto italiano e imperiale del XV-XVI secolo, in G. Poletti, R. Codroico, F. Barbacovi (a cura di), Ludovico l’eroe. I Lodron nella storia europea dei secoli XV e XVI, Tione di Trento (Tn), pp. 11-104.

V. Rovigo 2013, Il dato terminologico (secoli XII-XIII), in Apsat 6, pp. 95-103.

A.A. Settia 1984, Castelli e villaggi nell’Italia padana. Popolamento, potere e sicurezza fra IX e XIII secolo, Napoli.

Michele Dalba, Lia Camerlengo - rispettivamente autore del volume e responsabile del progetto

28/09/2015