Dos Zelor - Castello-Molina di Fiemme
La zona archeologica, estesa su 10 ettari di terreno, comprende non solo la sommità del dosso, ma anche i ripiani prativi del versante orientale.
All’estremità orientale di Castello di Fiemme, la tradizione - seguita da importanti conferme archeologiche - ricorda l’esistenza, sepolta, di un antico villaggio nato duemila anni fa e poi dimenticato. Un intelligente, recentissimo intervento di restauro ambientale dell’Amministrazione comunale ne propone un piacevole e facile percorso nel luogo dove un tempo questo villaggio sorgeva. Il tracciato, lungo poco meno di 2 km, segue strade rurali e sentieri tra i prati e facilita la conoscenza anche delle testimonianze archeologiche con delle “finestre” che narrano di paesaggio, natura, tradizioni, storia.
Quanto si incontra dell’antico villaggio lungo il percorso sono i frammenti superstiti, in parte visibili ma per massima parte ancora sepolti, di quello che - venti secoli fa circa - è stato un abitato florido e attivo, occupato per più di sedici generazioni e quindi lasciato dalle famiglie che vi vivevano per una grave crisi ambientale, allorché i loro campi si insterilirono per il lungo sfruttamento senza capacità di fertilizzare e capacità di produrre, che essi non più avevano. Obbligato quindi il trasferimento, che portò alla fondazione di un nuovo centro su un altro dosso vicino, radice dell’attuale Castello.
Quello che al Zelor appariva era un’isola di vita umana tra spazi boschivi immensi. Sorse in modo lento ma progressivo, senza uno schema preciso né tanto meno un disegno “urbanistico” su sedimi strappati con duro lavoro, poderi dissodati a fatica e fabbricati di architettura semplice, ma funzionale. Chi li ha realizzati lo ha fatto con abilità, usando come materiale da costruzione quanto di utile stava sul posto: pietrame, legno, terra, dando forma all’archetipo di un modo di costruire alpino di lungo successo, equilibrato, ancor oggi sintetizzato dai masi, complessi rustici rurali alpini dove il proprietario e la sua famiglia vivono con quanto sono in grado di trarre dall’ambiente che li circonda: campi, prati, bosco, pascolo, colto e incolto, acqua.
Complessivamente si stimano nel villaggio la presenza di non più di una decina di caseggiati, alcuni molto ampi e per più famiglie, altri con abitazione e parte rustica distinti, altri più modesti destinati a specifiche attività di lavoro o di magazzino. Un corso d’acqua, che scendeva da monte e attraversava l’intero abitato, assicurava un costante rifornimento idrico mentre a intercalare lo spazio complessivo dell’insediamento – molto esteso pari a circa 10 ettari - erano, orti, piccoli poderi arati, recinti con animali, cortili, viabilità, prati da sfalcio. Si ricavavano cereali (segale, orzo, frumento), rape, cavoli, legumi. C’erano alberi da frutto e su tutti a fine stagione si pascolava a campo libero, portando le pecore e i pochi altri armenti allevati, utili anche a togliere le malerbe ed a concimare, per quel poco che era possibile e prima della loro transumanza invernale verso le zone paludose della val d’Adige a cui pecore e capre erano obbligate. Un viaggio che da queste parti è stato praticato fino alle soglie del Novecento.
Poco si conosce della struttura e dei costumi sociali e niente di scritto è stato lasciato. Possiamo però immaginare una realtà di forma patriarcale, autarchica ma non isolata. Conoscenze dall’esterno sono giunte infatti costanti per l’intera durata dell’insediamento, portando miglioramenti, beni di consumo, tecnologie e risorse integrative. Certa è stata la mobilità di uomini e donne per lavori stagionali come braccianti nelle proprietà agricole romane dell’asta dell’Adige o nei centri abitati maggiori, come la città di Trento a cui gli abitanti di questo e di altri villaggi delle vallate trentine erano tenuti a versare un tributo in virtù dagli assetti amministrativi municipali.
C’erano poi i pastori che, anno dopo anno, portavano notizie e barattavano beni primari, il sale ad esempio, transitando sulle vie armentarie che dall’alto Adriatico e dalla pianura veneta salivano verso le praterie del Lagorai e oltre ancora. C’erano i mercanti, spinti dalla possibilità di utilizzare vie alternative abbreviate tra il nord e il sud delle Alpi e che in villaggi come questo erano certi di trovare clienti per vendere attrezzi, utensili, stoviglie, tessuti diversi dalla lana, qualche monile: tutte cose ritrovate nel corso degli scavi assieme a monete, che proprio con l’epoca romana da queste parti e altrove si è imparato a considerare e ad usare.
Questo e altro può narrare il dos Zelor a chi gli si avvicina. Già nel lontano 1975 è stato tra i primi siti della regione dichiarato d’interesse culturale e la Magnifica Comunità di Fiemme lo ha iscritto nel patrimonio storico della valle contribuendo in questo modo alla sua conservazione, incentivando – unitamente alle Associazioni di volontariato sociale e culturale del Comune di Castello-Molina di Fiemme – manutenzione e conoscenza partecipata con visite e iniziative di incontro.
Testo di Enrico Cavada, archeologo
La pubblicazione “Finestre nel tempo al dos Zelor. Guida al percorso” può esser richiesta alla Segreteria Generale del Comune di Castello-Molina di Fiemme (tel. 0462 340013 – 340019; e-mail: segreteria@comune.castellomolina.tn.it).